Una tennista professionista Mi son sposato con una tennista professionista. Ero il suo allenatore, essendo anch'io un appassionato. Le tenevo testa egregiamente e spesso la battevo. Tutto si è svolto in un matrimonio concreto di passione e sentimento, una competizione amorevole. Facevamo footing assieme, avevamo anche un fisico simile, sebbene nel footing, io fossi un pò più veloce e lei un pò più resistente. Finiva sempre che nell'ultimo sprint la spuntava lei, niente di grave, nei tratti veloci ero io a primeggiare. Era piuttosto alta, 1 metro 81, esattamente come me. Anche il peso era simile, io pesavo 4 chili in più, 80, lei 76. Questi dettagli sarebbero insignificanti se non fosse per la mia malattia che modificò tutto il nostro rapporto, alla luce dei fatti eccessivamente competitivo. Ma vedete, a me piacevano le donne sveglie, tenaci, con carattere estroverso e emancipate, e forse era scritta nell'inizio la fine della nostra relazione. Forse la vita è differenza e basta, amarsi vuol dire tenersi testa, lottare. Forse l'odio non è così distante dall'amore, forse non così improduttivo. Il mio medico ad Aprile mi diagnostico una malattia rara ma non così rara, i cui dettagli approfondirei in un altro momento. Il mio corpo sarebbe decresciuto nelle ossa e nella muscolatura, avrei dovuto seguire una dieta molto ricca di calorie, stando attento alle conseguenze sulla densità di zuccheri nel sangue con l'ausilio di un farmaco. Non sottovalutai la malattia, ma senz'altro un risvolto di essa sì. Avevo paura di morire, e sebbene i medici mi assicurassero che più persone erano arrivati ad una anzianità normale, non senza seguire terapie continue, mi lasciai prendere la mano dall'ansia. Nell'arco di due mesi persi 18 chili, controllandomi in pasti enormi e ossessivi, continui. Non riuscivo ad arginare il dimagrimento. Mia moglie paradossalmente prese qualche chilo, sebbene mangiasse il meno possibile, condizionata dalla sempre maggiore differenza di peso, che per entrambi assumeva proporzioni esteriormente imbarazzanti. In quell'arco di tempo persi anche tre centimetri di altezza, che cercavo prima di dissimulare con delle scarpe a tacco alto. Pensate che all'inizio mia moglie pensò che fossi più alto, e ridevamo spesso del parziale errore dei medici. Ci mentivamo, forse sapendolo entrambi. Il problema maggiore era di notte, quando a piedi nudi o in pantofole, ci incontravamo per andare in bagno. Dovevo cercare di stare vestito e in punta di piedi, mettevo delle pantofole alte, usavo gli zoccoli, ogni gesto cominciava ad essere minuziosamente calcolato. In questo periodo cominciarono a non esistere più rapporti sessuali. La mia magrezza tra le sue braccia mi faceva passare il desiderio. In estate, all'inizio, pesava 82 chili, io 61, gli amici ci chiedevano se mi stesse per caso rubando i pasti. Non reggevo più i sui ritmi sportivi, al tennis andava male per lei, e nervosamente una volta mi chiese se potevo metterci uno sforzo a chiudere un set per me. Era sempre 6 0 6 1 6 2. Ma lei ora era troppo forte per me, al footing nello scatto mi bruciava, figurarsi nella resistenza. Cominciò a mangiare per compensazione. La situazione degenerò. arrivò a pesare 90 chili a fine settembre, ed io, sebbene fortunatamente nell'ultimo periodo tenessi il peso in maniera lodevole, per la diminuzione della massa ossea non riuscivo più a stare sui sessanta, per l'esattezza tenevo sui 56- 57 chili. Era paradossale che dopo un periodo iniziale di grande compatimento per la mia situazione, e grande preoccupazione, probabilmente al di fuori della sua volontà cominciò ad odiare quel mio stato in maniera irritata, Cominciò addiritura ad avere dei motti di sfottimento per la mia "nuova", ahimè, statura, sebbene dopo si scusasse per lo sfogo, se ne vergognasse, ne piangesse. Vedete, io non riuscivo più ad avere appettito sessuale, e lei sapeva che questo era dovuto al mio nuovo corpo, e al suo in parte. Alla fine del mese, avendolo evitato da tempo per paura, mi misurai: ebbene si, avevo perso 8 cm dall'inizio della malattia, la mia statura era in picchiata, e la mia vita la stava seguendo. Mia moglie una volta venne da dietro, allo specchio della barba, e stette con la sua testa sopra la mia, mi spaventai perchè mi sembrava cresciuta di parecchio, e disse esattamente queste parole, con un tono scherzosamente da orco: "la gigante ed il bambino" risposi con durezza che lo scherzo non mi piaceva, rendendomi conto e consolandomene che aveva messo delle scarpe con tacco altissimo per accentuare l'effetto " sai bene che non ci posso fare niente", e lei rispose sconsolatamente amara "dovremo abituarci, tra quanto tempo ti sovrasterò così senza tacchi?" La spinsi via con forza, lei d'istinto mi diede un ceffone che mi fece cadere distante, seguì un dolore immenso, avevamo soppesato in qull'attimo tutta la differenza di forza tra noi. Tremando mi alzai e dissi la cosa più ridicola della mia vita, puntandole un dito sotto il mento: "attenta bambina, l'uomo sono io" e lei scelse l'attimo più inadatto per chiedermi scusa piangendo. Mi abbracciò, inchinandosi per riuscirci, con quei tacchi maledetti. Le scarpe, che ossessione. Cominciò un periodo in cui spiavo durante le sue assenze il suo portascarpe, e nascondevo quelle col tacco più alto, eppure ormai non ci vedevamo quasi più. Evitavo di dormire nella stessa stanza con scuse patetiche, occupavo il soggiorno grande, mi ero fatto fare un letto con rete speciale, con la scusa di un problema di mal di schiena, peraltro giustificabilissimo. Me lo ero fatto fare grande, enorme, sì, maledetto desiderio di compensazione. Pensare che lei, in tutta risposta, aveva liberato la stanza da letto del letto matrimoniale, e si era presa un singolo, in cui il suo maledetto corpone immenso stentava ad essere contenuto. Però lei voleva disperatamente riconquistarmi. Cominciò a vestirsi in maniera più provocante, si metteva a volte delle imbarazzanti gonne corte, delle calze di nylon, e siccome non riusciva più a stare a dieta cominciò a fare ossessivamente palestra. Stava intere giornate al lavoro e fuori di casa. Tornava a casa mentre io facevo finta di dormire, scrutava in camera al buio, sussurrava "dormi?". Io mi stavo chiudendo al mondo, preparandomi ad una programmazione di morte che per il momento non avevo il coraggio di mettere neanche in ipotesi, ma sentivo diventare il mio primo pensiero. Non che aumentasse di volume, rivelavano le mie ossessivamente attente osservazioni, ma traduceva in massa magra l'eccesso di grassi, però ottenne il risultato di rassodarsi. Una volta spiai una sua tabella, e vidi che doveva pesare ancora sui novanta. Io 44, cazzo, la metà tra un pò. Quando tornava a casa era gentile, affettuosa ogni qualvolta ci capitasse di incontrarci, il mio senso di colpa prese il soppravvento. Decisi di fregarmene, di ricominciare con lei, per premiare almeno lo sforzo immane che lei stessa stava sopportando. Riprendemmo a dormire nello stesso letto e una sera stabilimmo che avremmo fatto l'amore, un'amore da ricordare. Così ci preparammo, in tempi diversi, nei due bagni ormai separati. Mi pulii, mi feci bello, mi profumai, ma uscendo gettai uno sguardo alla bilancia, e tornai indietro col batticuore, mi pesai: 41, 41 chili, 41. Mi ripesai ed ebbi quasi lo sgomento irrazionale di essere nel frattempo dimagrito ancora, 40, e poi 39 e poi niente, la sparizione. No, ero ancora sui 41, poco meno, invero, ma 41. E allora mi misurai, 1 metro e 38, che schifo, la staura di un nano, ci sono dei nani che sono più alti di me. Sentii che da oltre la porta lei origliava ansiosa, e preso da una precipitosa spregiudicatezza le chiesi di entrare e di pesarsi. Lei era in sottoveste, mi sedetti per non subire la sua schiacciante altezza all'ingresso nel bagno. Si pesò con disinvoltura, senza le ansie che io accompagnai al gesto: pesava 98 chili, si giustificò, buona parte di muscoli. Mi chiese il mio peso, io balbettai "suppergiù la metà", quasi urlò, poi si scusò, mi chiese spaventata di pesarmi davanti a lei, e io rifiutai dicendo, ma no, diciamo 50, ma non m'importa. Lei era allarmata anche dalla nuova cifra, e insistette, mi guardò, si avvicinò, mi sollevò senza sforzo e mi depose sulla bilancia, non feci opposizione. 40, vi giuro, la bilancia mi pesò 40, io ero strasicuro che in realtà pesavo 41, che non sono un granchè, ma un chilo in più, lei guardò la cifra incredula, e quasi sussurrò, quasi pensò tra se e se, "quanto una mia coscia, 39 chili". "Ma no che son quaranta", dissi, mentre sgattaiolavo in camera da letto. Lei si trattenne nel mio bagno, si fece bella là, il fatto che invadesse un ulteriore spazio intimo mio mi avvicinò ai miei pensieri di sparizione, la sua esistenza stava ingollandosi la mia, come un gatto col topo. Aspettai sul suo letto, che ora ero incerto se fosse veramente singolo o matrimoniale. Le sue proporzioni, all'ingresso nella porta, mi tolsero il dubbio, doveva essere singolo, ero io ormai una metà. Aveva a sorpresa indossato delle calze di nylon, con le giarrettiere, si avvicinò al letto col suo corpo incredibilmente grande, ma bellissimo, sodissimo, sano, il contario del mio. Si abbassò le calze, rimase nuda, sollevò la gamba destra e montò sul letto con una bramosia che in un altra situazione mi avrebbe inorgoglito. Io ero ancora seduto tremante di paura quando lei mi struscio un immensa vagina sul petto, cominciò a fare versi profondi, io cercai di fuggire, ma il suo peso ovviamente ridicolizzò i miei sforzi, non se ne rese neanche conto, mi afferrò la testa e la spinse sulla sua vagina umida, io affannato dissi "no aspetta, non così" ma lei era troppo eccitata, l'attesa era stata troppa, mi disse appunto "non aspetto più un cavolo", insistetti, lei lo stesso "non aspetto di doverti scopare col microscopio in mano", e da quella frase indovinai una serie di disussioni scherzose fatte con qualche amica sulla mia stazza. Me ne fregai, ero troppo spaventato per partecipare al piacere, ma allo stesso tempo volevo mantenere la promessa. Le infilai la mano destra nella vagina, e finii coll'infilarle tutto il braccio, provai con due, ci stavano, mi chiesi come avrei potuto soddisfarla col mio organo ormai. Lei era partita suill'onda dell'eccitazione più irrefrenabile. Sollevò un braccio e levò dal reggiseno il suo seno sinistro, che quasi eslose fuori cadendo sul suo plesso quasi con un rimbalzo, mi terrorizzò, lei mise le sue dita a forbice sul capezzolo, e lo tirò, doveva essere grande quanto il mio pene, "ciuccia, piccolo" le sfuggì, e mi immerse la testa in quel mammellone che mi rese a più riprese cieco e sordo. Mi dimenai, se ne accorse, e mi strinse più forte "carino, se mi fai questa ti soffoco" alludendo all'interruzione mia e al suo seno, era inebriata da qualche endorfina che la rendeva selvaggia e volgare, una sua caratteristica che avevo dimenticato: "mettimela in culo, ciccio", e così dicendo mi prese di peso e mi sistemò in piedi al bordo del letto, si inchinò dandomi le spalle, e io in effetti mi trovai con la faccia all'altezza del suo immenso fondo schiena sudato; "io non ci arrivo" , mi scappò una risata assurda e nervosa che deve averla irritata per via della concentrazione "infilaci la testa, stronzo, che cazzo vuoi infilarmi, quel microbo che hai in mezzo alle tue zampette?". Provai ad infirlarle la testa nell'ano, ma almeno per il momento non ci entrava, cercavo di collaborare, avendo ritrovato una specie di serenità nello starle di spalle, con una suddittanza che mi ripromettevo avrebbe pagato cara una volta uscita dalla trance dell'orgasmo. Per il momento valutai che poteva essere letale opporlesi. "Non ci entra, scusa" dissi con voce piana, lei urlò quasi a denti stretti "e infilami sto cazzo di braccio nel culo e la testa nella fica, o ti sbrano". E allora cominciarono una serie di apnee dentro la sua vagina per un buon quarto d'ora, con un braccio che non riuscivo ad infilarle interamente su per l'ano, vista l'inclinazione e la mia statura ormai al di sotto delle sue natiche. Nell'entra ed esci della mia testa nella sua vagina, mentre tentavo di riprendere fiato in una specie di fanghiglia collosa, la sentivo ruminare frasi come "cazzo, trentanove chili, che cazzo di sfiga proprio a me" e ancora "se gli cago in testa lo uccido, minchia, la mia metà". Sentii a un certo momento che si accelerò il ritmo e cominciò ad urlare, metre io cercavo di reggermi circondandole con le mie braccia le gambe enormi, ma continuavo a scivolare per gli scrolloni impetuosi che dava lei con i fianchi e per il fatto che le mie braccia non riuscivano a colmare la circonferenza delle sue gambe. Diminuì il ritmo, mi depose di nuovo sul letto, e disse, "ok, facciamocene una ragione," mentre lo diceva volse le mani all'esterno "lo vedi questo? E' il mio seno, cerca di stare più fermo possibile, poi ti faccio una sega. Entraci in mezzo, ti ci sta in bocca un capezzolo? No, supponevo, questo è il tuo mare, acchiappa un capezzolo con le mani e tieniti fermo" così dicendo mi mise tra il reggiseno e il seno e cominciò a scuotere a perdifiato. Io ho perso i sensi, un pò per la paura, un pò per le apnee. Quando li ho ripresi, lei era di nuovo in sè. Era preoccupata ma più serena, io l'ho rassicurata sul mio stato e lei allora ha preso il mio pene tra le dita, e in quella una lunga risata ci ha scaricati entrambi: "e come te la faccio la sega, con le unghie?" ridemmo assieme ancora. Si allungo a pancia in su sul letto e disse, ti spiace se non godi? E guardando il soffitto tutti e due ironizzammo su questa cosa tremenda che ci era capitata in mezzo alla nostra vita. "Bisogna che facciamo presto prima che mi venga difficile trovarti in mezzo ai miei seni", oppure "potresti sempre cercare un lavoro come sonda ginecologica, sai, dovere e piacere". Stavamo esorcizzando. Purtoppo a nostra insaputa quella notte abbiamo raggiunto un punto di non ritorno. Lei cominciò a vestirsi in maniera sempre più volgare, tornava ubriaca la sera spessissimo e senza neanche spogliarsi mi violentava letteralmente, usando la mia testa come pene. Cominciò a picchiarmi sempre più spesso, ed io per la vergogna non l'ho mai denunciata. Finchè un giorno non ho fatto fare un documento al mio medico in cui prescriveva un assurda astensione dal sesso "visto che la differenza di stazza comincia ad essere pericolosa", spiegai al ritorno a lei. 31 chili contro 104, meno di un terzo, mi sembrava ragionevole. La mia statura nel frattempo era di 118 cm. A quel punto l'unica cosa che mi importava era andarmene. Lei disse che si sarebbe cercata un'altro, io le dissi ok, e nel frattempo ripresi a dormire nella mia stanza. Quella stanza divenne la mia prigione. Già dalla prima notte mi chiuse a chiave, non uscii più di lì. Alle visite di controllo mediche disse che vista l'inefficienza di chi mi seguiva io avevo cambiato medico e cura. Questo è ovviamente quello che lei mi diceva. Non mangiavo più, quella che era stata la mia amante, la mia complice, il mio tutto, era diventata la mia carceriera. Arrivai così a pesare 21 chili e lei oltre i 110, mentre la mia statura era scesa a un metro, al di sotto non mi misurai più. Lei entrava in camera con il solito brodo di carne, uova, vestita come una puttana, e mi scopava col seno, col sedere, metteva tacchi altissimi: "ci scommetti che pesi quanto le mie tette?", "certo di te me ne sposerei tre" diceva spesso, uno per ogni buco. Si, era impazzita, e mi avrebbe ucciso. Sembra ieri quando entrando nella mia stanza come al solito, mi disse che mi aveva trovato l'anima gemella, una di quelle nane che facevano al caso mio. Poco a poco cominciai a chiederle se era vero, poteva segretamente essere un ipotesi di salvezza, lei diceva sempre "a fine mese, quando ritiro la tua pensione". Ormai dovevamo essere in bancarotta, arguii, ma non vedevo il nesso. E Giada, questo era il nome "della mia futura anima gemella" come diceva lei, un giorno arrivò. Attendeva fuori della porta di stanza, la sentivo ansimare, quando mia moglie la fece entrare. Entro una specie di montagna, in una specie di 2 pezzi che non riusciva a trattenerle la carne, un seno di una grandezza incredibile . Mia moglie assunse l'atteggiamento del rappresentante e disse: "articolo interessante, il cui peso... sali Giada sulla bilancia, uhm, è come vedi di oltre 220 chili visto che la tua bilancia non riesce a pesare di più, altezza 2,18". Mia moglie in confronto a Giada sembrava veramente una nana. Giada era verosimilmente una prostituta che mia moglie nella sua perversione aveva prezzolato per reggere quella insana commedia. Una gigantessa vera. Cominciò a strusciarsi su Giada, che a dir la verità la sua parte non la faceva senza un certo imbarazzo, ma assecondava mia moglie senza temerla se non con sospetto, avrebbe potuto spaccarla in quattro. Alla fine pesò me, "articolo a prezzo scontato, l'uomo, un essere in estinzione dal peso di, uh, siamo scesi a 20, bene, venti chili per suppergiù un metro di altezza. Be, solo venti volte più leggero. A conti fatti se entro in competizione con lei mi puoi vedere come una nana. Giada, mettitelo in mezzo ai seni". Ora, Giada doveva essere in confronto a me immensa, so solo che quando si inchinò col suo seno sulla mia faccia, anche lei era in apprensione, si rizzò su tutta la sua altezza (le arrivavo al di a metà gamba, una decina di centimentri al di sopra del ginocchio) Giada disse, "Signora, ma così lo uccido", "Mettitelo in mezzo, così non c'è il rischio" Giada senza aprire il reggiseno, una cosa fatta apposta per reggere pesi, vista la dimensione del suo petto, mi infilò in mezzo e mi guardava con occhi sbarrati. Io ora sto con Giada, più per riconoscenza che per altro, le pago una buona cifra per non battere più, lei veglia alla fine dei miei giorni. Facciamo anche una specie di sesso, io le afferro con le due mani un suo capezzolo, ma immediatamente mi prende la paura, lei mi dice "tocchi, non mi da fastidio". Ogni tanto le dico che si mette scrupoli eccessivi, di cercarsi un uomo. Lei afferma di averlo, e alle mie domande incalzanti mi dice che è di 1,70. Io gli chiedo se le sembra piccolo, se se ne è mai preoccupata, lei dice che non è il massimo, ma non per pregiudizi, ma per il fatto che ha qualche problema quando fanno l'amore "Sa, sembriamo la gigante e il bambino", e allora io me ne ritorno in camera, e mi chiudo prudentemente a chiave pensando al suo capezzolo.