MEMORIE DI UNA PORNO KILLER Capitolo 1 di lu35be@yahoo.it Storia di pura fantasia: ogni riferimento a persone o fatti reali è puramente casuale. Sono molto graditi i vostri commenti e anche suggerimenti sulle prossime missioni e sui metodi di uccidere di questa porno killer che ha come segni caratteristici le “3 S”: sexy, sadica e spietata. Scrivete a: lu35be@yahoo.it Questo mal di testa mi ucciderà. Non prendetemi per una donnetta lagnosa che non sopporta una banale emicrania. In realtà io sono una donna di grande temperamento, con un carattere di ferro e un fisico d’acciaio scolpito in anni di ginnastica artistica, danza classica e arti marziali: ho 28 anni, sono alta 1.90, sesta di seno naturale, occhi blu, capelli neri (che porto spesso raccolti in una lunga treccia), magnifici piedi con la caviglia ben disegnata e lunghe gambe affusolate e potenti. Uno di questi giorni, però, questo mal di testa mi ucciderà davvero, perché a causarlo è la scheggia di proiettile che ho conficcata nel cervello. Il chirurgo che mi ha operata mi ha detto che un giorno, all’improvviso, il proiettile si muoverà e io morirò; poi ha aggiunto che poteva accadere dopo 2 minuti, 2 ore, 2 giorni, 2 mesi… Sono trascorsi 2 anni!!! E sono stati i due anni più intensi e appaganti della mia vita: libera da ogni paura e freno inibitorio, ho sfogato la mia indole sadica e perversa svolgendo una professione molto particolare: la killer! Anzi… la “porno-killer”!!! Perché ve lo sto confessando? Perché, quando sarò morta, voglio essere ricordata come la più grande assassina della storia del crimine. Anche se in realtà non sono una criminale, infatti lavoro per i servizi segreti del governo: elimino spie nemiche, personaggi scomodi e veri criminali che la legge non riesce a fare condannare. Sono un’assassina davvero speciale, perché non uccido come la maggior parte delle donne killer con armi da fuoco, coltelli o veleno. Le sole “armi” che qualche volta uso per strangolare le mie vittime sono i lacci lunghi delle mie scarpe eleganti, le calze di nylon o la mia lunghissima treccia di capelli (come quella volta a teatro quando ho strozzato con i miei capelli l’uomo seduto accanto a me, senza che gli altri spettatori se ne accorgessero). Per la maggior parte degli omicidi uso soltanto il mio corpo, che ho trasformato in una micidiale arma di soffocamento in anni di giochi erotici estremi (come il “breath control”), quando il potere di vita o di morte sull’uomo era ancora soltanto il mio sogno proibito di ragazza sadica e perversa.Con occasionali schiavi rintracciati su internet ho affinato le mie tecniche di soffocamento: da quelle più erotiche come il “face sitting” (soffocare con la mia figa depilata o il culo perfetto) e il “breath smothering” (asfissiare con le mie enormi tette) fino a quelle più violente come le “head scissor” (strozzare fra le cosce o i polpacci). Una delle mie tecniche preferite è lo strangolamento con i piedi: una volta io e una mia “collega” (per alcune missioni speciali mi capita di lavorare con altre killer dei servizi segreti) abbiamo eliminato due spie nemiche nella loro auto. I due uomini erano seduti davanti e noi sul sedile posteriore. Improvvisamente abbiamo allungato le gambe e intrappolato il loro collo fra i nostri piedi: la pianta del piede sinistro contro la nuca spingeva in avanti mentre il collo del piede destro contro la carotide tirava all’indietro… e mentre li strangolavamo, ci siamo fatte un ditalino a vicenda. Io sono abile a far coincidere la morte della mia vittima con il mio orgasmo. Ho preso coscienza della mia indole sadica a 20 anni, quando un ragazzo che frequentava la mia palestra di karate una sera ha tentato di violentarmi negli spogliatoi deserti. Ha commesso l’errore di sottovalutare la mia abilità nel combattimento: l’ho messo in ginocchio con un poderoso calcio nelle palle con la punta delle mie eleganti decoltè, poi gli ho sferrato un potente calcio circolare alla faccia, sfregiandolo con il tacco a spillo. Il bastardo si contorceva per il dolore. Avrei potuto scappare, invece sono rimasta a guardarlo con un ghigno di soddisfazione. Volevo punirlo ancora più duramente, ma prima dovevo impedirgli di reagire, così ho afferrato spalla e polso destro con le mani, ho premuto il mio ginocchio contro il suo gomito e gli ho spezzato il braccio. Allo stesso modo, gli ho rotto anche l’altro braccio. Era in ginocchio con le braccia a penzoloni, impossibilitato a difendersi. L’ho sdraiato a terra con un tremendo calcio in faccia, poi mi sono tolta le scarpe e ho calpestato il suo viso in segno di trionfo: premevo l’alluce del piede destro sul suo occhio e se avessi continuato a schiacciare avrei potuto accecarlo per sempre. Più lui soffriva, più io mi eccitavo. Il ragazzo urlava dal dolore: mi sono sfilata le mutandine – che si erano bagnate per la grande eccitazione – e gliele ho infilate in bocca per farlo tacere. Con le mie mutandine bagnate in bocca, il verme respirava affannosamente. Con l’alluce e il secondo dito del piede destro ho stretto le narici del suo naso, impedendogli di respirare. Il ragazzo stava soffocando, annaspava alla ricerca di un filo d’aria, ma era uno sforzo inutile: stava asfissiando sotto il mio piede. Avrei potuto ucciderlo senza sforzo e questa consapevolezza del potere della donna sul cosiddetto sesso forte aumentava la mia eccitazione. Nei vari corsi di arti marziali ho imparato tecniche di strangolamento con i piedi e le gambe con cui posso ammazzare chiunque facilmente; ma lì lo stavo facendo davvero e in un modo così feticista e perverso. Guardavo il ragazzo soffocare con un lampo sadico negli occhi e un sorriso perverso sulle mie micidiali labbra (scoprirete più avanti quanto la mia bocca possa essere letale…): ho continuato ad asfissiarlo col piede finché l’eccitazione non si è trasformata in un intenso orgasmo. L’istinto mi diceva di ucciderlo senza pietà, ma non volevo passare la vita in prigione, così ho sollevato il piede dalla sua gola un attimo prima che morisse. Comunque doveva subire una punizione pesante: mentre lui respirava affannosamente, mi sono infilata le scarpe e ho sferrato un altro calcio potente alle sue palle. Un colpo dall’alto verso il basso come per schiacciare un verme: il mio tacco a spillo ha devastato i coglioni del bastardo, rendendo per sempre inservibile il suo lurido cazzetto. Vi starete chiedendo come ci sia finita la scheggia di pallottola nel mio cervello e come sia possibile, con una simile menomazione, fare una professione così rischiosa come la killer. Ve lo spiegherò più avanti: ora voglio raccontarvi come ho fatto a diventare una vedova miliardaria. Per fare la bella vita ho sposato un uomo molto più vecchio di me (lui 65 anni, io 24 anni) e ricco sfondato: l’ho soggiogato con la mia personalità dominante, pur senza confessargli mai le mie fantasie omicide, che erano rimaste appunto fantasie. Facevamo sesso raramente, però nei posti più strani: una sera l’abbiamo fatto nella nostra spaziosa limousine dopo essere stati al cinema a vedere “007 Goldeneye”. Io mi ero eccitata vedendo la scena in cui la spia russa Xenia Onatopp scopa con un ammiraglio inglese e durante l’amplesso lo soffoca stritolandolo fra le sue gambe. Invidiavo questa donna sadica che godeva fisicamente nell’uccidere gli uomini… Dopo aver cavalcato mio marito fino a farmi sborrare dentro, mi sono seduta e ho allargato le mie magnifiche gambe: lui si è inginocchiato davanti a me – la posizione in cui ogni uomo dovrebbe rendere omaggio alla sua padrona – e mi ha leccato la figa ancora bagnata dopo l’orgasmo. Mentre mi leccava mi è tornato in mente un vecchio fumetto con una scena analoga (invece di un auto, c’era un’antica carrozza) in cui una vampira di nome Zora stringe le sue cosce forti attorno alla testa dell’amante, soffocandolo contro la propria figa. Il pensiero s’è trasformato in azione: ho chiuso le cosce attorno alla testa di mio marito e ho stretto forte, sempre più forte… Stavo asfissiando mio marito proprio come Zora: mentre annaspava alla ricerca d’aria, mi è venuto in mente che io ero l’unica erede del suo immenso patrimonio… E stringevo più forte: non per l’eredità, ma perché tenevo repressa da troppo tempo la mia indole omicida. Dopo un paio di minuti, però, ho allargato le gambe permettendo a mio marito di respirare: ancora una volta la ragione aveva vinto sull’istinto sadico. L’omicidio di mio marito, però, era soltanto rimandato di un paio di settimane. Era la sera di libertà della servitù: in casa eravamo solo lui e io. Prima di andare al ristorante mio marito ha voluto scoparmi sotto la doccia: lui m’inculava e io mugolavo tutta eccitata, non dal suo misero attributo ma al pensiero della trappola letale che stava per scattare. Dopo essere venuto, mio marito si è infilato nell’idromassaggio per rilassarsi, ma io volevo tenerlo su di giri, così sono scivolata anch’io dentro alla vasca e ho iniziato a succhiargli il cazzo, mentre con la mano scappellavo il suo membro per aumentarne l’erezione. Nessuno resiste al mio pompino con risucchio (in seguito l’ho usato altre due volte per uccidere, causando un infarto mortale che sembrava accidentale): dopo aver ingoiato avidamente il suo spruzzo di sperma, ho continuato a stuzzicare sessualmente mio marito, che m’implorava di smettere. Era davvero sfinito e il suo cazzo non voleva saperne di risvegliarsi, ma io conoscevo il suo punto debole: ho iniziato fargli una sega con i miei magnifici piedi. Sono una vera esperta nella masturbazione con i piedi: mio marito ha resistito un paio di minuti poi si è eccitato. Più il suo cazzo s’induriva, più io aumentavo l’intensità dell’azione di scappellamento del glande con le dita dei piedi. Tre orgasmi successivi erano uno sforzo troppo grande per un vecchio come lui: alla terza eiaculazione fu colpito da infarto. Era quello che volevo: fare sesso fino a fargli venire un infarto mortale. Invece di soccorerlo, infatti, durante l’infarto ho continuato a masturbarlo con i piedi, aumentando la sua eccitazione in modo da rendere inesorabile la morte per infarto. Ammazzare mio marito in maniera così sessualmente perversa mi ha procurato un orgasmo animalesco: finalmente avevo commesso il mio primo omicidio. Avevo compiuto il delitto perfetto: il coroner certificò la morte accidentale per infarto dovuto a prolungato sforzo sessuale. Uccidere mi aveva procurato un orgasmo indescrivibile: sentivo che non avrei più potuto farne a meno, che avrei ucciso altre volte, e in modo ancora più sadico, pur di provare ancora un piacere così intenso. Pensavo che sarei diventata una criminale, ma il destino aveva altri progetti per me… (fine capitolo 1… continua)