Katya Katya: che sorpresa! E' successo tutto così in fretta, quasi per caso. Ma ha spalancato una voragine che mi ha inghiottito. Ora nulla sarà più come prima. Dovrò combattere ogni istante dentro di me per cercare di guardare il mondo con lo sguardo di prima, per non lasciare trapelare gli effetti che quello che è successo ha provocato su di me: la terribile sensazione di essere qualcosa di diverso da quello che pensavo di essere. Non sarà facile. Io e lei sappiamo finalmente chi e cosa io sia. Dovrò fare i conti con questo. Sono debole e vulnerabile. Forse troppo. Lei: Katia. Trentenne, segretaria di uno studio professionale privato, bruna, capelli corti, statura media ma con un portamento eretto e fiero che la faceva sembrare più alta di quanto non fosse, flessuosa, apparentemente minuta. Una voce dolce ma sicura, che rifletteva perfettamente il suo modo di essere: dolce e sensuale, ma fermo e sicuro. La forza composta e interiore che ogni uomo desidera avere e desidera trovare in una donna, coniugata al femminile. E lei era un concentrato di femminilità. L'intuizione del suo corpo, sempre nascosto da un abbigliamento formale e quasi severo, tendeva a riflettere il suo modo di essere. Almeno io lo immaginavo femminile, morbido e asciutto, sicuramente proporzionato, ma senza caratteristiche particolari. Un corpo senza sorprese, immaginavo, sbagliando. Successe un pomeriggio di fine primavera. L'aria era ancora fresca, ma già calda e avvolgente. Lei stava per aprire il portone del nostro palazzo, diretta al suo appartamento al primo piano. Io uscivo dal mio, qualche piano più su. Qualche volta ci incrociavamo: un saluto sorridente e nient'altro. Quel giorno, però, lei tirò il portone con un gesto forte e rapido, mentre già la mia mano era sul pomello. Il risultato fu che alcune dita della mia mano andarono a scontrarsi, dolorosamente, con il legno del portone. "Oh, scusami tanto, non volevo." "Non ti preoccupare, non è niente." "Oh, non direi, hai le dita già viola. Ti chiedo di perdonarmi, non immaginavo che tu fossi lì. Fà vedere." Subito dopo allungò la mano e prese decisamente la mia. Mentre lei osservava la mia mano, io, pur dolorante, rimasi colpito da quella mano. Era fragile e forte nello stesso tempo: le dita erano lunghe ed irregolari, ma carnose; anche il palmo era sottile, ma compatto, con piccole vene che lo attraversavano per tutta la sua lunghezza. Che bella mano, pensai. Forse la usa molto per scrivere a macchina. Anche la sua presa mi colpì: ferma e decisa. Senza stringere la mia mano, la controllava perfettamente. "Se non hai fretta, possiamo salire a casa mia. Ho una pomata che farebbe miracoli. E' il minimo che posso fare per rimediare. Ti va?" "Abiti al primo piano, vero?" "Sì." "Allora, va bene. Ma non sentirti in obbligo. Non è stata colpa tua." "Oh, invece sì. Allora, dai, saliamo." In breve, entrammo in casa sua. La mano mi pulsava. Francamente mi faceva male. Ma continuavo a pensare alla sua mano. Intorno a quella cominciai a fantasticare sul suo corpo. E' come se, gradualmente, quello che immaginavo essere un corpo slanciato, sì, ma minuto, acquistasse una consistenza più solida e fibrosa. Ed infatti ecco la prima sorpresa. Appena entrati in casa, si tolse il giubbotto e si avviò verso il bagno, invitandomi a sedermi. Indossava scarpe sportive ed una tuta, con un top che le lasciava scoperto l'addome. Lì per lì non notai nulla di particolare. Un'andatura flessuosa e sicura, ma nient'altro. Anche la tenuta ginnica non mi sorprese; immaginavo che facesse sport, jogging, pensavo. Ma di ritorno dal bagno la guardai. Mi ero seduto e la vidi arrivare: aveva l'addome cesellato! La sua vita era stretta, come mi aspettavo che fosse, ma rispetto ai suoi fianchi lo era ancora di più. Non pensavo che avesse una curva così sinuosa. Inoltre, mentre camminava, vidi degli evidenti muscoli addominali che ritmavano ogni passo. Su, il busto saliva allargandosi armoniosamente. Il suo seno era un po' compresso dal top, ma sembrava abbastanza pieno. Le sue braccia scoperte erano tornite e definite, ma non grosse, né particolarmente muscolose. Le sue spalle erano appena meno grosse di quelle che avevo notate in molte altre ragazze che andavano regolarmente in piscina; ma sembravano anch'esse ben definite e lavorate. Il suo addome, però, catturò il mio sguardo. Lei, mentre tornava leggendo la scatola che portava in mano, alzò rapidamente la testa e mi sorprese. Non disse nulla, ma io arrossii leggermente, distogliendo lo sguardo dal suo addome. "Hai ancora male, vero?" "Beh, sì." "Con questo passerà tutto, vedrai." Prese ancora la mia mano con la sua. A questo punto ero un po' confuso. La vista del suo addome e il contatto con quella mano cominciò a turbarmi. Mi sono sempre piaciute le donne con un fisico tonico. Anch'io facevo qualcosa per tenermi in forma. Ma le esigenze di lavoro, impegni vari e un po' di pigrizia rendevano saltuari e brevi gli intervalli di tempo che dedicavo al mio corpo: stretching, un po' di pesi, e poco più. Ero senz'altro appesantito, ma tutto sommato non avevo un fisico inguardabile. Certo, per asciugare la vita avrei dovuto fare molto di più. Quell'addome, invece, era perfetto. Quante ore di lavoro. Pensai. Che tenacia. Mentre lei spalmava la pomata, tranquilla e concentrata, ritornai con lo sguardo al suo addome, e poi guardai lei. Questa volta fu il suo viso, regolare e dolce, ad arrossire. Subito dopo alzò gli occhi e mi fissò. Aveva due occhi molto belli: due mandorle; con uno sguardo tenero ma luminoso. Mi fissò, e qualcosa sembrò accendere quello sguardo. "C'è qualcosa che non va?", sussurrò gentilmente. "No, no, anzi." "Anzi cosa?", insistè. Schiarendomi la voce e tossicchiando le dissi che sicuramente aveva dovuto lavorare molto per ottenere un risultato così ammirevole. Lei, si schernì e sorrise. Aveva una dentatura sana e regolare. Continuò a guardarmi e a tenermi la mano. Stava cercando di capire qualcosa. Io sentii il suo sguardo indagatore. Ma non sapevo come dissimulare il mio turbamento. Per fare qualcosa tornai a guardarle l'addome, dicendo che era proprio statuario. Lei continuando a guardarmi, smise di sorridere. Provai ad incrociare il suo sguardo, ma non riuscii a tenerlo: era fermo e profondo. Mi stava pesando. "Se vuoi, puoi toccare.", mi invitò. Si strofinò via la pomata dalla mano e con la essa mi prese l'altra mano. Non sapevo più cosa fare. Il cuore mi batteva. Ero emozionato come un bambino. Mi lasciai guidare verso quell'addome: vellutato, solido, assolutamente perfetto. "Guardami", mi disse con ferma dolcezza. Io la guardai, rosso in viso e un po' stordito. Appena la mia mano toccò il suo corpo, i muscoli si contrassero e lei accompagnò questo contatto formando un'espressione di sorpresa sul suo viso. La sua bocca si aprì, dando forma e liberando il mio stupore. Mi stava guidando completamente. Indicandomi la strada, come ad un bambino. Ero soggiogato. Tutto ciò mi stava eccitando terribilmente. Anche lei doveva essere eccitata. Del contatto della mia mano e della vulnerabilità che stavo mostrando di fronte a lei. Sempre guardandomi, il suo sguardo di sorpresa sembrò mutare in uno di sofferenza. Nello stesso momento cominciò a stringere le mie mani, entrambe. La sua stretta era decisa e la mia mano già dolorante mi strappò un leggero lamento. Lei smise di stringerla. Ma continuò a serrare la sua presa sull'altra mia mano, avvicinando il suo viso al mio. Mi diede un piccolo bacio sulla guancia e mi chiese di fare altrettanto. Subito dopo tornò a stringere la mano ferita, costringendomi a piegarmi verso di lei. "Cosa fai?" Disse, fingendo di stupirsi. A quel punto, senza ritegno, cominciai a baciare quell'addome scolpito. Nel frattempo lei guidò la mia mano non indolenzita in su. Su fino alle sue spalle, aggirando il tessuto elasticizzato che le copriva i seni. Poi la portò su una delle sue braccia. Quella che ancora teneva la mia mano ferita, che, improvvisamente, lasciò cadere. Poi, flesse il braccio e formò una massa non enorme, ma dura e definita. Il bicipite che comparve sotto la mia mano, inaspettatamente più consistente di quanto non avessi immaginato vedendo, poco prima, le sue braccia rilasciate, mi eccitò ancora di più. Mentre ancora insistevo con la mano sul suo bicipite, con l'altro suo braccio mi prese per i capelli e, di colpo, mi sollevò la testa. Il suo sguardo, ora, era imperioso: esprimeva forza e volontà di dominio. "Lasciati andare", mi ordinò con severità. Poi spinse in su la testa. Non trovandomi pronto a seguire il suo invito, mi scrollò con gesto controllato la testa, tenendomi sempre per i capelli, e tornò a spingerla in su. La assecondai e mi trovai con la bocca sulla mia mano, sempre poggiata sul suo bicipite. "Sciocco", disse, e improvvisamente sentii uni schiocco sonoro. Subito dopo la mia guancia, incendiandosi, mi rivelò che mi aveva colpito. Uno schiaffo veloce e violento, Mi ridestai e tentai di svincolare la testa, ma lei strinse ancora di più i capelli e mi colpì di nuovo. E poi ancora, e ancora. Nel frattempo, con un tono di voce incredibilmente tenero e misurato, mi rimproverava come se fossi un bambino capriccioso. Le sue gambe si intrecciarono interno ai miei fianchi, abilmente. Mi salì il sangue alla testa, ma non potei far nulla. I colpi erano violenti. Ogni mio vigore sembrava andato via…continua… Virdiana@virgilio.it