La mia storia con Francesca by alex_ddp, alex_ddp@SoftHome.net Una ragazza travolta dalla passione deve sbarazzarsi di un pretendente Mi sono ritrovato solo in ufficio con la mia segretaria. Era un sabato pomeriggio e stavamo sbrigando alcune pratiche arretrate. Io ero contento di fare straordinario, perché in quel periodo il lavoro mi aiutava a dimenticare il divorzio; la segretaria invece rimane sempre volentieri per arrotondare lo stipendio. Si chiama Francesca e ha 10 anni in meno di me. Lei è sempre stata molto carina, ma ultimamente ha acquisito quelle qualità che rendono alcune donne irresistibili; non si tratta di bellezza, ma di saperci fare, e lei crescendo era diventata veramente brava a fartelo ingrossare dal mattino appena entrati in ufficio, alla sera lungo la via del ritorno. Si vestiva in modo castigato, ma quando eravamo soli non esitava a togliersi la giacca, sciogliersi i capelli neri e lisci e sbottonarsi due bottoni della camicetta, così da lasciare intravedere la curva del seno. Ogni tanto faceva capolino dietro la seta il pizzo di un fantastico reggiseno bianco. A quel punto chiunque la vedesse non poteva che immaginarsela davanti a se, munita di solo reggiseno e mutandine, che ti portava il dattiloscritto richiesto e che non faceva in tempo a voltarsi che le eri già saltato addosso e le avevi violentemente strappato di dosso quei pochi indumenti per lasciarla sola con i suoi zigomi paffuti, i suoi occhi enormi, le sue ciglia lunghissime, le sue guance rosse e la sua espressione perennemente gioviale. Ma dopo questo sogno ad occhi aperti bisognava sempre ritornare nella realtà, e Francesca più di quello non mi aveva fatto mai vedere. Quel giorno faceva molto caldo, tanto che ero tentato di tornarmene a casa a fare una bella doccia refrigerante; purtroppo però avevo promesso al mio socio di finire una pratica e quindi ero costretto a rimanere lì. Io e Francesca, una stanza vicino all'altra, lei a svolgere il suo lavoro con puntiglio, e io a fare il mio perennemente distratto dal pensiero che di là c'era quel bocconcino tutto da assaggiare e da mordere. In ogni caso avrei fatto bene a concentrarmi sul lavoro se non volevo fare notte... Così ho avvicinato il ventilatore alla scrivania e mi sono tolto la camicia rimanendo con la sola canottiera in modo da rinfrescarmi un po'. Quando Francesca entrò in ufficio con la pila di venti pagine che le avevo richiesto di stampare, sembrò molto sorpresa nel non vedermi in camicia. Per un attimo mi parve di vederla a bocca aperta ma fu una sensazione di qualche decimo di secondo, perché poi col solito fare disinteressato fece dietro front e se ne andò sbattendo la porta della mia stanza e lasciandomi solo col ventilatore. Quando uscì dall'ufficio avevo ancora meno voglia di lavorare. Lei con quella camicetta sbottonata non si poteva nascondere. Allora mi alzai e decisi di trovare un pretesto per andare a conoscerla un po' meglio. Quando aprii la porta del centralino dell'ufficio, Francesca stava chiacchierando al telefono con una sua amica... Sapevo che viveva con una coinquilina. Quando mi chiese cosa c'era risposi che era da un po' che non vedevo la mia segretaria fondamentale. Decisi di fare il buono e vedere come reagiva. Ero in canottiera ma avrei potuto invitarla anche a un ricevimento, tanto era bella. Allora Francesca senza farsi notare, ma io guardavo solo lì, si sbottonò un altro bottone della camicetta e allargò un pochettino la scollatura della camicetta. Forse anche se non voleva darlo a vedere mi voleva. Le chiesi: "Francesca, le dispiace se oggi me ne sto così? Fa troppo caldo" "Si figuri signore" mi rispose lei mentre batteva a macchina. Aveva le guance più colorite del normale. A un certo punto mi avvicinai e sorridendo le chiesi "chi viene a prenderla stasera?" lei abbassò gli occhi e rispose: "veramente, dovrebbe venire un mio amico..." ma non sembrava molto entusiasta. "Non le va bene che venga il suo amico?"; "Dottore." mentre continuava a scrivere "a dire il vero lui pensa di essere qualcosa in più di un amico; si è messo in testa di essere il mio ragazzo e fa di tutti per sentirsi tale..."; "L'ha già chiamato? Gli dica di non venire, che ha già un altro passaggio". Smise di scrivere. "Oggi? Ma è sicuro?"; "Sì, perché no?"; in quel momento scoccarono le sette. Il lavoro ormai era finito, era ora di staccare. Il telefono di Francesca aveva smesso di squillare da un bel po'. Io mi misi la camicia a mo di giacchetta, riordinai la scrivania alla bell'è meglio e cercai subito Francesca. Quando suonò il campanello, Francesca disse "Mi sa che dobbiamo fare un'altra volta..."; le risposi "no ma perché? E' solo un suo amico no, allora non avrà problemi se per questa volta le do io un passaggio"; "ma signore, come le ho detto..." "No, guardi, lasci perdere, vada pure nel mio ufficio che apro io" "Mah..." "Vada Francesca, è un ordine!" e nel frattempo mi ritolsi la camicia e rimasi in cannotiera, così da rendere evidenti i miei pettorali villosi e ben definiti; un po' titubante Francesca entrò nel mio ufficio; io andai ad aprire, mi ritrovai davanti un ragazzone di una decina di centimetri più alto di me e un quarto di ettometro più di Francesca. "Cosa vuole?" "Sono venuto a prendere Francesca"; "Ne è sicuro? Entri, entri pure"; il tipo mi guardò un po' insospettito ed entrò, alché chiusi la porta, lo feci amichevolmente avvicinare alla scrivania di Francesca in cui ancora si sentiva la sua essenza al sapore di pesca, allora lo afferrai dalla nuca e gli schiacciai un orecchio sulla scrivania, chiedendogli "lo senti questo profumo? Lo conosci? Annusa bene perché è l'ultima volta che ti avvicini a lei, intesi?" lo schiacciai con forza più sostenuta e ripetei "intesi?", lui rispose balbettando e forzando la sua voce perché non tremasse "sì, sì signore"; "bene ragazzo" mollai la presa e gli ricinsi il collo con il mio braccio nudo riportandolo alla porta "hai fatto la scelta giusta. Arrivederci" lo sbattei fuori e chiusi la porta. "Francesca venga pure", lei aprì la porta sorridendomi, sembrava davvero felice come una pasqua e per ringraziarmi mi guardava con una certa complicità... Non potei che notare il suo compiacimento, le sorrisi anch'io e le dissi "su raccatti la sua roba che andiamo"; lei in pochi secondi mise a posto la sua valigetta, prese la giacca, ma io non ero d'accordo e mentre se la stava infilando gliela sottrassi dicendole "lasci stare, che fa caldo", e me la tenni io sulla mia spalla; "Andiamo ora"; aprii la porta, prendemmo l'ascensore, e non appena dentro i nostri sguardi si incrociarono questa volta per molti secondi, perché Francesca non abbassò automaticamente lo sguardo come faceva di solito; allora mi avvicinai a un suo orecchio e le sussurai "mi distruggi tutto il giorno", e avvicinai le labbra al lobo del suo orecchio, e glielo baciai e stringendole il mento con una mano le alzai la testa e le leccai la parte anteriore del suo collo sottile, lei si lasciò andare tutto il peso su di me e poggiò una guancia sul mio petto e in quell'istante l'ascensore si fermò; le diedi due baci sulla guancia e la staccai da me per aprire la porta dell'ascensore. La feci uscire per prima e le aprii il portone, fuori era una serata estiva calda e tranquilla, raggiungemmo la mia auto a pochi metri ed entrammo, azionai immediatamente l'aria condizionata, misi in moto e in pochi minuti eravamo in tangenziale. Ora cominciava a fare freddo, noi così scollati e accaldati e sudati e quell'aria fredda che sbatteva sul nostro corpo che induriva i nostri capezzoli e ci faceva venire la pelle d'oca; mi fermai alla vicina area di servizio, la presi per un fianco e la spinsi verso di me, dicendole "vieni, siediti", si sedette sulle mie ginocchia, le circondai le spalle con il braccio sinistro che riportai al volante, rimisi immediatamente in moto e continuammo il viaggio così, io che guidavo e lei che tramortiva il mio collo succhiandolo e pizzicandolo coi denti; ogni tanto mi faceva male e allora ridevamo; non uscii per casa mia ma proseguii in tangenziale fino a raggiungere l'ingresso in autostrada, al primo casello presi il bigliettino, e dopo una ventina di km c'era il motel che in gioventù frequentavo con quella che sarebbe diventata la mia donna e che da poche settimane non lo era più. Quando fummo dentro rividi il vecchio Italo che si ricordava di me, infatti mi diede la chiave della stanza che si affacciava all'autostrada, così da vedere le macchine sfrecciare dalla finestra. Entrati in camera, ci buttammo sul letto e lei perse definitivamente ogni freno inibitorio, mi tirò via la canottiera, la cintura, strappò bottone per bottone i pantaloni, nel frattempo la aiutai a sfilare la camicetta, le scarpe, la gonna, la spinsi violentemente sul materasso per potere osservare finalmente com'era la donna dei miei sogni in abbigliamento intimo, ed era così, come l'avevo sempre immaginata; due splendide tette rotonde che riempivano il reggiseno e s'incurvavano verso il suo giovane viso, i capelli finalmente sciolti e neri che finivano sopra il petto, le mutandine fini che nascondevano a malapena l'inguine e le cosce morbide e fini che cominciavano a cingermi la schiena; ora fu lei che mi spinse violentemente su di me, allora le strappai via quei due indumenti che rimanevano, mi tolsi i calzini anch'io e facemmo un sesso così energico e potente che non pensavo potessi più riuscirci, dopo tanti anni di routine con mia moglie. Dopo il secondo orgasmo lei portò la mia guancia su un suo seno e mi fermò, eravamo entrambi appagati e finalmente trovammo il tempo di scambiare due parole, perché eravamo riusciti a sfogare tutte le nostre voglie e il nostro desiderio covato e fatto crescere per anni e anni dietro una scrivania. Lei mi disse "grazie ancora per avermi tolto Sergione dalle palle", alzai il volto e la guardai: "ma dovevi chiedermelo lo stesso, se ti dava fastidio. Io non avrei avuto problemi comunque, lo sai..." "Sì, sì, ma mi vergognavo..."; "ma questo Sergio, come l'hai conosciuto?" "E' un mio vecchio compagno di scuola; era il mio migliore amico ma io non volevo una storia con lui", "e adesso? Pensi che la molla lì o tornerà alla carica? Perché io oggi non penso di averlo impaurito abbastanza..."; "io penso che..." proprio in quel momento squillò il telefonino di Francesca. "Eccolo" mi guardò sorridendo... Era un SMS "E' un SMS... Da Sergio... Dove sei? Ma che cazzo vuole quel coglione del tuo capo?"; "ah, ha scritto così? Bene bene..." ci riguardammo e scoppiammo a ridere pensando a come avrei massacrato il povero ragazzo se si fosse avvicinato alla mia nuova donna. Il giorno dopo facemmo una colazione ricchissima, con arance, caffé, caffellatte, uova e prosciutto, e il tocco finale che solo Italo poteva, memore delle mie scorribande notturne di dieci anni prima, ricordarsi di portare, un frullato di banane con cioccolato in polvere in cima che Francesca bevve con avidità. Soddisfatti anche della precedente doccia ristoratrice (con annesso ennesimo orgasmo) e delle calorie e proteine immesse nell'organismo ci rivestimmo, pagai il vecchio Italo con tanto di lauta mancia da parte mia e sorriso a 32 denti da parte di Francesca che penso risvegliò anche qualche ormone del vecchio viveur, e ci riavviammo verso la città. Era arrivato il momento di mettere le cose in chiaro con Sergio, bisognava fargli capire a tutti i costi, con le buone o con le cattive, che non era più gradito da Francesca e che avrebbe dovuto sparire immediatamente dalla sua vita. Allora finimmo a casa di Francesca, la condivideva con la sua amica Stefania, una degna coinquilina della mia ospite, la quale si accorse dell'ammirazione con cui guardai la sua amica e mi spinse immediatamente via "non ci provare..."; poi chiese a Stefy se Sergio si era fatto sentire sfilandosi la giacchetta e accendendosi una sigaretta, sembrava molto a suo agio a casa sua anche se c'era il suo principale, e questo mi rallegrò, perché significava che non ero poi così vecchio coi miei dieci anni in più di quelle bambine. Stefania rispose che aveva chiamato e che aveva chiesto di dirle che sarebbe venuto intorno alle 12, cioé fra qualche minuto, prima di pranzo; era un orario ottimo così ce lo levevamo dai coglioni prima di pranzo e ci godevamo il tacchino che Stefy da perfetta donna di casa aveva in forno. "E lui? Rimane?" "Ovviamente" rispose Francesca "Ah, ok..." Stefy mi guardò e sorrise, devo ammettere che l'avrei spogliata all'istante, tanto era deliziosa... Comunque suonò il citofono quasi immediatamente, Stefy andò a rispondere e aprì "E' Sergio..." "Vai in camera!" Francy mi spinse letteralmente, questa volta era lei che voleva affrontare Sergio, e per me era giusto, anche se non disdegnavo l'idea di spaccargli il setto nasale non appena avesse aperto bocca. Il ragazzo sembrava proprio un poco di buono, capelli a spazzola, molto alto, certamente più di me, molto magro e senza un filo di muscoli, pantaloncini corti, un insulso giovinastro che non poteva permettersi nemmeno di sognare una come Francesca, eppure quando entrò si avventò su di lei, la sbatté sul divano e le mollò un ceffone che le lasciò il segno della manata; Francesca rimase ammutolita coi capelli davanti a sé, dovetti dare forza al mio autocontrollo per non andare immediatamente a spaccare quella mano che si era resa colpevole di tanto efferato gesto, poiché Francesca mi aveva detto di non farmi vedere se non dopo un suo eventuale preciso cenno: gli avrebbe urlato "bastardo!" e io sarei uscito, e lei, purtroppo, per ora non lo aveva fatto. Gli disse "ma tu cosa cazzo vuoi? Fatti la tua vita, io non ti ho mai voluto, anzi, a dire il vero mi hai sempre fatto schifo, con quel cazzo di gel sui capelli che sembri un gagno di quattordici anni, sei noioso, mi stai sul cazzo, non ti sopporto più con il tuo idealismo del cazzo e non ne posso più nemmeno della tua musica del cazzo e dei tuoi pseudoideali politici del cazzo, e anzi a dirla tutta, ma ti lavi? Perché puzzi! Puzzi come un cadavere di capra, emani un tanfo schifoso che il solo avvicinarti mi fa venire da vomitare. Mi fai schifo, mi fai schifo, devi andartene e non tornare più, aria, hai capito? Guarda che se non è così finisci male." "Ah ah, e perché finirei male, mica crederai veramente che quel coglione del tuo capo" (e qui mi sono dovuto davvero trattenere) "faccia sul serio con te? Non capisci che vuole solo una storiella semplice semplice? Sei solo la sua puttana, perché fare la puttana ti è sempre piaciuto, come quella volta a Napoli... Te lo ricordi?" sorrise istericamente Sergio. "Ma ricorda cosa, stronzo, che ci avevate fatto ubriacare tu e quell'altro coglione di Tonio?" e senza attendere risposta Stefy si avventò con tutto il suo peso su Sergio, spingendolo al muro e strangolandolo mentre gli distruggeva l'addome con una serie incredibile di ginocchiate; "toh... toh... toh... toh... toh... e toh...", poi mollò il collo del paonazzo ragazzo che cadde a terra piegato in due dal dolore e ansimante come una femminuccia, allora fu il turno di Francesca che lo rialzò, lo riposizionò sul muro e lo finì con una testata al naso che gli ruppe con buona probabilità il setto nasale e infine un devastante calcio nei coglioni che mise definitivamente fuori combattimento il malcapitato, le ragazze come delle furie lo guardavano mugolare a terra e ancora col fiatone lo presero per braccia e gambe, lo portarono verso la porta e lo gettarono fuori come un corpo morto "vedi di smammare e non farti più vedere", gli disse Francesca, e lui rantolò via come un gattaccio spelacchiato e ferito, piegato ancora in due, con il naso che colava copiosamente sangue e un occhio gonfio. Chiusero la porta, io aprii e guardai le due, ero stupefatto come mai, rimasi almeno due minuti a bocca aperta mentre loro mi fecero accomodare e mi strapazzarono di carezze come se volessero ringraziarmi, e Francesca che disse: "è solo grazie alla tua presenza che ho avuto il coraggio di fare quello che ho fatto, sapere che mi stavi proteggendo mi ha convinta di potergli dare la lezione che si meritava..." e prese a sbaciucchiarmi dalla fronte al petto, sbottonandomi la camicia e via via leccandomi dappertutto... Intanto il tacchino era pronto per essere servito, ma nel frattempo suonò ancora il citofono, era Dario, l'uomo di Stefy, un tipo simpatico che salutò le due con la stessa ammirazione che palesavo io da un po'; scambiò due parole con Francy e domandando della manata, allora guardai Stefania e la interrogai... "Ma... lui... con... Tonio?" lei annuì e mi fece l'occhiolino, "a tavola!" disse infine Stefy, ci cibammo avidamente del delizioso pranzetto pensando tutti alle attività pomeridiane che di lì a poco ci avrebbero intrattenuto e svuotato delle energie accumulate in quel banchetto luculliano. FINE