Emma vs Ela 6 by krispin Steed guidava in silenzio. Al suo fianco, Emma Peel teneva gli occhi chiusi. Ma non dormiva. Oltre agli sleep bianchi ora indossava solo un leggero pullover a v giallo, sotto il quale si indovinavano i seni, piccoli ma sodi. Era tutta indolenzita, sentiva dolori in varie parti del corpo, ma non aveva nulla di grave. Tutto sommato le era andata bene. Certo era stata sconfitta, battuta facilmente, era stata perfino derisa e umiliata dalla rivale, ma Ela Weber non aveva voluto infierire fino in fondo su di lei. O almeno non lo aveva fatto fisicamente. Se solo avesse voluto, la bionda amazzone avrebbe potuto continuare a colpirla ancora a lungo, farle molto più male, fino a spezzarle facilmente qualche ossa. Emma ricordava tutto, dal primo all’ultimo istante del combattimento. Non aveva mai perso conoscenza anche se c’era andata molto vicino. Dopo quel violento pugno, quel tremendo colpo che l’aveva messa fuori combattimento, Ela l’aveva afferrata e rialzata di peso. Senza sforzo apparente l’aveva trascinata e tenuta per un po’ schiacciata contro il muro. Con il suo robusto corpo praticamente nudo contro quello molto più magro della rivale, la tedesca aveva fatto i propri comodi. I suoi grossi seni avevano schiacciato quelli minuscoli dell’inglese. Con le sue potenti cosce, Ela non aveva avuto la minima difficoltà a tenere bloccate quelle molto più magre della rivale. Inutili i tentativi di Emma di liberarsi. Nel corpo a corpo era troppo debole, non riusciva a muoversi nemmeno di un centimetro, oppressa e inchiodata inesorabilmente contro la parete. Poi la bionda amazzone le aveva afferrato i polsi sottili, li aveva sollevati e tenuti bloccati contro il muro, sopra la testa di Emma. Le bastava la presa della sola mano sinistra. E con la destra aveva iniziato a colpirla allo stomaco. Una, due, tre volte. Ma ben presto si era bloccata. Emma non si reggeva in piedi, era Ela a sostenerla di peso, e la tedesca temeva che l’incontro finisse troppo presto. Invece voleva continuare, voleva infierire ancora sulla sua avversaria, voleva spezzare la sue flebile resistenza a poco a poco. Così l’aveva abbracciata, stretta in una morsa e sollevata, riportandola di peso al centro della stanza. Disperatamente, Emma Peel aveva cercato ancora di liberarsi, inarcando all’indietro il suo corpo lungo e magro, tendendo le braccia sottili, puntando le mani contro le larghe spalle della tedesca e spingendo con tutta la forza che le era rimasta. Ma in quel modo non aveva nessuna speranza. Ela Weber non doveva neppure stringere più forte: immobilizzare l’agente inglese non le richiedeva alcuno sforzo. E mentre la teneva stretta a sé, l’aveva derisa: “Sei così debole e magrolina, signora Peel! Lo vedi? Ti si contano le costole. Non dovresti metterti contro donne troppo forti per te – le aveva detto – rischi di farti male. In effetti con le arti marziali ci sai fare, sei davvero brava e veloce. Ma non hai abbastanza forza. Per me i tuoi pugni erano come pizzicotti, non li sentivo neppure”. Poi, quando Emma aveva fatto capire di rinunciare a quell’inutile e disperata lotta per liberarsi, la tedesca l’aveva lasciata andare di colpo. E l’inglese era di nuovo crollata a terra, ormai incapace di reggersi sulle proprie gambe. Per qualche minuto ancora, la bionda amazzone aveva infierito in vari modi, anche a terra, sulla rivale: stringendole con forza la vita sottile tra le potenti cosce, strofinando i suoi pesanti seni nudi sul viso di Emma, mettendosi a cavalcioni su di lei e tenendola bloccata col peso del proprio corpo. Lo aveva fatto sempre deridendola, umiliandola anche a parole. Infine aveva preteso la resa incondizionata dell’inglese. “Ora basta, mi fai pena. Ti lascerò andare – le aveva detto – ma prima devi ammettere la tua inferiorità, devi dire a tutti quelli che vedranno questo incontro che sono troppo forte per te, che Emma Peel non è abbastanza donna per competere con Ela Weber”. Orgogliosamente Emma aveva resistito ancora un po’, tra le lacrime di dolore e di umiliazione, cercando con la forza della disperazione di reagire, ma alla fine era stata costretta a cedere: “Ok… Va bene… Sei troppo forte per me… Ok… Ela… Ok… Non sono abbastanza donna… Ma ora ti prego… lasciami stare!”. Solo a quel punto Ela Weber si era rialzata e dopo aver assestato alla rivale un ultimo violento calcio al basso ventre, era uscita tranquillamente dalla stanza, lasciando la porta aperta ed Emma a terra, piangente e piegata su se stessa dal dolore. Steed, dapprima impietrito, era entrato poco dopo e lentamente aveva aiutato la sua partner a riprendersi, a rialzarsi. L’aveva sorretta e accompagnata quasi di peso fino all’auto. Che ora li stava riportando a casa.