ALTA MODA By Bettino BettinoAlps@katamail.com Milano, febbraio 2003. Malgrado la nebbia che invade le strade del centro città, malgrado il freddo di quest'inverno che sembra non finire mai, malgrado la crisi economica che deprime le borse, le strade della moda, corso Montenapoleone e via della Spiga, appaiono particolarmente vive, pervase da un'atmosfera elettrica. La settimana delle sfilate richiama migliaia di giornalisti, di buyer, di stilisti, che si affollano nelle strade, in piccoli gruppi, che riempiono ristoranti e bar. Girano i soldi, bei vestiti, belle macchine, e lo spettacolo dell'opulenza coinvolge anche le masse che, di fatto escluse, se ne sentono emotivamente partecipi. Poi... le modelle. Alte, sempre più alte, irraggiungibili per i più. Scortate da ragazzotti intraprendenti che fungono da autisti e bodyguard per pochi euro e la speranza di un'avventura, coccolate da stuoli di truccatrici e di lavoranti, concupite da una certa "Milano da bere" che è scomparsa solo dai titoli dei giornali, ma resiste imperterrita a tutti i cambiamenti sociali e politici. Solo, talvolta esce di scena qualche protagonista, per ragioni di salute, per qualche scandalo o per bancarotta, e viene sostituito da un altro più giovane e più affamato di soldi e di successo. Non tutti partecipano, come protagonisti o come pubblico, alla grande kermesse. In una palestra sita in una stradina interna topograficamente non lontana da via Montenapoleone, ma che sembra remotissima nello spazio e nel tempo, fiancheggiata da case ringhiera non ristrutturate, un giovane universitario si allena prendendo a pugni un sacco da boxe. Non molto alto, magro ma nervoso, ha la taglia di un peso leggero longilineo. E' solo, nel pomeriggio di sabato la palestra rimane chiusa, ma lui ha avuto le chiavi dal titolare, un ex pugile un tempo celebre che campa malamente con quella palestra obsoleta, dove ci si allena per davvero, dove non vi sono macchine costose, ma solo manubri arrugginiti con i pesi di lega fusi approssimativamente, pieni di fori che sembrano opera di improbabili tarli del ferro, dove non si simula la kick boking, ma si fa pugilato, dove non si propone un'illusoria autodifesa per tutti, ma si pratica il judo agonistico. Dopo alcuni minuti, il ragazzo si prende una pausa, e fa alcuni esercizi di stretching sulla materassina.. Improvvisamente squilla il campanello. Lui non vi fa caso, pensando che il cartello dell'orario riporta chiaramente l'indicazione: "Sabato pomeriggio chiuso". Ma chi è alla porta è insistente: suona ancora due volte, poi si attacca letteralmente al campanello. "Vengo! Un momento!" urla per far cessare quel suono squillante ed acuto che gli ferisce l'udito trapassandogli quasi il cervello. Raggiunge la porta di entrata, e la apre con mala grazia, intenzionato ad allontanare in fretta il disturbatore. "La palestra è chiusa. Torni lunedì." esclama senza neppure guardare chi sta alla porta, e tenta di chiudere il battente. Ma il disturbatore spinge a sua volta la maniglia, costringendolo a riaprire. "Se è chiusa, cosa ci fai qui?" gli chiede in inglese il suo interlocutore. Lui la guarda, e realizza di trovarsi di fronte una ragazza molto alta, oltre il metro e ottantacinque, infagottata in un giaccone e con a tracolla una borsa da ginnastica. " Io... sono autorizzato" risponde. " Allora fammi entrare. Non ho tempo di cercarmi un'altra palestra. Per favore." " Va bene. Ma non c'è nessuno e qui non ci sono molte macchine." " Mi basta muovermi. Devo perdere due chili per domani." " OK. Lo spogliatoio delle donne è in fondo a destra." Luca riprese ad allenarsi al sacco. Era un esercizio che gli piaceva, anche perché gli permetteva di estraniarsi mentre colpiva ritmicamente con i pugni serrati nei guantoni. Gli venne in mente una frase di quel mistico medioevale che lo aveva colpito tanto, Meister Eckhart. "Dove terminano le passioni e la conoscenza, là c'è solo oscurità, ed è là che Dio risplende." Ciò gli fece sembrare inutile quel suo affannarsi nelle cose terrene, come gli allenamenti, e riprovevole la sua fisicità e la sua sensualità, ma non si sentiva ancora pronto alla rinuncia. Immerso nei sui pensieri, quasi si era dimenticato della ragazza e, quando questa lo chiamò, trasalì. Lei indossava un'ampia tuta, per nulla elegante. Il viso era comunque bellissimo, malgrado la mascella un po' pronunciata e la completa mancanza di trucco. "Senti, io devo dimagrire. Urgentemente, per domani, altrimenti non entro nei capi di Versace. Se ti va, potresti farmi da sparring partner per alcune riprese di boxe, così brucio calorie. Non era la prima volta che una ragazza lo invitava ad allenarsi alla boxe con lei. Normalmente, era una cosa noiosa: non si poteva colpire forte, e risultava quasi inutile sforzarsi di schivare i loro pugni, che arrivavano soffici come piumini di cipria. "Ok, prendi i guanti, sono sullo scaffale in fondo." Iniziarono a fare i guanti sulla materassina. Lei non era male, colpiva anche forte, ma Luca non affondava i colpi per evitare le solite lamentele delle donne, anche delle più robuste, di fronte a tutto ciò che possa causare lividi. Poi questa doveva essere un'indossatrice, quindi guai a lasciarle un segno. "No, non ci siamo. Non mi impegni, non mi fai sudare. Senti, ti faccio una proposta: perché non indossiamo la maschera ed andiamo sul ring a farci 8 round da due minuti, impegnandoci, così almeno smaltiamo un sacco di calorie?" "Per me va bene" le rispose ancora prima di pensarci. Istintivamente, quella donna così alta e sicura gli faceva provare il desiderio di affermare la sua virilità, il suo machismo represso, dandole una bella lezione. Salirono sul ring. La ragazza si posizionò in un angolo, poi si tolse la tuta restando in calzoncini. Luca non se l'aspettava, ma nascose il suo stupore. La guardò, anche per saggiarne le forze: senza quella tuta che l'infagottava, la sua avversaria ostentava un fisico longilineo, ma tonico: spalle larghe, braccia certo non grosse, ma che ostentavano muscoli lunghi che guizzavano ad ogni movimento, torace aperto, da nuotatrice. Quasi inesistente il seno, piccolissimo, dai capezzoli che gli sembravano leggermente inturgiditi. I glutei e le gambe, snelli e muscolosi, apparivano modellati dallo sport, forse dal salto in alto piuttosto che dalla corsa. Adesso la riconosceva: era Kate Van Moor, la top model olandese. Quella che era stata su tutti i giornali in occasione di una rissa con una notissima collega nera, la manesca Naoki, che l'aveva aggredita in quanto gelosa del suo ruolo di prima donna. E, di fronte ad un esterrefatto pubblico di modelle e lavoranti, era stata Kate ad avere la meglio, atterrando la rivale con un preciso diretto al mento che l'aveva mandata al suolo priva di conoscenza. L'episodio aveva ampliato la sua popolarità, e Luca ricordava una sua partecipazione ad un programma televisivo della domenica pomeriggio, nel corso del quale la top model aveva battuto in una sfida a braccio di ferro un noto e presuntuoso uomo di spettacolo italiano, che era rimasto a dir poco infastidito dalla sconfitta. Luca decise di imitarla, e si levò la maglietta, ostentando un insospettabile torace peloso che contrastava singolarmente con i tratti quasi angelici del suo viso. "Aziono il segnatempo ed iniziamo" fece il maschio. Si avvicinarono al centro del ring. Luca sentiva l'emozione, un misto di desiderio e di paura, paura di perdere come gli era capitato alcuni mesi prima, alla lotta, con una ragazza alta e più grossa di lui, tra gli sguardi imbarazzati e sfottenti di alcuni amici. Ma, questa volta, era un incontro di boxe: perdere sarebbe stato ancora più doloroso, anche se non c'era pubblico. Kate aveva una discreta tecnica, ed approfittava del maggior allungo per colpirlo con jab sinistri che, malgrado la maschera, risultavano tuttavia fastidiosi. Luca tentò alcune volte di attaccare, ma lei si sottrasse con spostamenti ed anticipandolo costantemente con quel fastidioso sinistro. Infine, proprio allo scadere del tempo, cogliendo l'occasione dall'ennesimo attacco andato a vuoto, lei gli fece sentire il suo destro al volto, che lo colse impreparato facendolo vacillare. Prima che l'azione potesse avere un seguito, suonò il segnatempo. "Dieci a nove per me, direi" esclamò Kate. Luca non aveva previsto che la sua avversaria volesse un vero e proprio match che conducesse ad un verdetto, e ne prese atto con una certa inquietudine. La seconda ripresa Luca, superata almeno in parte l'emozione, tentò di mettere in pratica gli insegnamenti del suo istruttore, insistendo con i colpi al corpo per fiaccare la resistenza dell'avversaria. Riuscì a colpirla con forza in due - tre occasioni, e la donna, come tutti i longilinei, diede segno di soffrire i pugni al bersaglio grosso. Lei, comunque, insisteva con quei maledetti sinistri alla testa, che gli toglievano il ritmo. "Dieci pari?" "Sta bene: nessun vantaggio sensibile." La terza e la quarta ripresa ripeterono l'andamento della seconda. Kate era ancora in vantaggio del punto guadagnato ad inizio combattimento. Durante la quinta ripresa, la fatica cominciava a farsi sentire. Le guardie erano più aperte, i colpi più scomposti, i movimenti meno coordinati. Il combattimento si faceva più caotico, ricco di spinte e di trattenute. E fu Luca che approfittò di un momento in cui la sua avversaria era squilibrata per vibrargli un violento destro allo stomaco che le fece piegare le gambe. "Uno, Due..." Kate si rialzò al sette, rimettendosi in guardia. Luca si gettò all'assalto, vibrando pugni larghi e confusi, stringendola alle corde. Lei si protesse con i guantoni, si riprese e uscì dall'angolo. Suonò la fine della ripresa. "Dieci a otto per me" fece Luca "D'accordo." Ora era in vantaggio lui. Durante l'intervallo, fantasticava su un KO, pregustava la vittoria, godeva ad immaginarla vinta, la vedeva preda, anche sessuale. Il trillo della suoneria lo riportò alla realtà del combattimento. Kate appariva determinata e fredda. Odiava perdere, e certo non voleva farsi mettere sotto da quel piccoletto lì, dalla faccia da angioletto. Riprese a lavorare con il sinistro, a colpirlo insistentemente al volto, pronta a schivare ogni suo attacco. Luca, che non si aspettava che si riprendesse dall'atterramento, ne rimase stupito, quasi inquieto. Fu una ripresa interlocutoria, che però, visto l'andamento della precedente, risultava oggettivamente favorire la donna. "Dieci a dieci?" "Dieci a dieci." Luca capiva che gli sarebbe bastato pareggiare le due ultime riprese per aggiudicarsi il match. Tuttavia, gli sembrava una tattica da ragioniere: avere paura di perdere da una donna, evitare il rischio. Meglio sarebbe stato attaccare, e metterla fuori combattimento, quella stronza. E se invece fosse lei ad avvantaggiarsi di qualche suo attacco andato a vuoto, colpendolo d'incontro? E se invece fosse stata quella femmina a colpirlo duro, a metterlo sotto? La suoneria lo scosse dalle sue fantasie da perdente. Kate iniziò la settima ripresa con grande determinazione. Portò anche due ganci destri, forse un poco larghi, che comunque si fecero sentire. Luca riuscì ad accorciare le distanze, colpendola con violenza al seno: sinora, aveva sempre evitato di vibrarle pugni su quella parte, ma ormai fatica ed aggressività avevano distrutto ogni remora. Kate fece una smorfia, un passo indietro, ma si rimise in guardia. Lui si esaltò, tentò un gancio destro al viso, che però la donna schivò chinandosi, quindi approfittò del suo sbandamento per colpirlo a sua volta con un violento destro alla mascella che lo fece barcollare. Luca riuscì a riprendere la distanza, parando i colpi che Kate gli scagliava, ma appariva nettamente in difficoltà. Squillò, salvifica, la suoneria. "Dieci a nove per me" sibilò Kate. " Pari, sinora" confermò Luca. Ultima ripresa. Di nuovo, Luca era incerto circa la tattica da adottare. Da un lato, sarebbe stato sufficiente un pareggio per impattare anche il match, non esponendosi all'onta di una sconfitta. D'altra parte, desiderava anche una vittoria chiara, meglio se per fuori combattimento. Non riuscendo ad individuare l'obiettivo a cui conformare la sua strategia, iniziò il round con l'atteggiamento peggiore, quello di chi non sa veramente cosa fare. Dalla luce che brillava dai suoi occhi, Kate sapeva invece cosa voleva: voleva vincere. All'inizio della ripresa, la donna riprese a scagliare sinistri: solo, ora erano più potenti, non più appoggiati, ma scagliati con forza. Luca provò ad accorciare le distanze, ma il pugno della femmina lo respingeva puntualmente. Allora attaccò ancora al corpo, colpendola violentemente ad un fianco e quindi pressandola alle corde. Mirava scomposto al volto, con colpi larghi che si abbattevano sui guantoni di Kate, attenta a proteggersi il volto. Quando al sua furia si calmò, per la stanchezza, fu la donna che, abbassato il destro all'altezza del petto, caricò tutta la sua forza in un possente montante al mento. Luca vacillò, confuso: si sentiva ad un tempo stordito, e scorato per la sua momentanea incapacità a difendersi. Kate non gli lasciò la possibilità di riprendersi: un gancio alla mascella, un diretto al mento e lui cadde con la schiena al tappeto. Luca guardò, dal basso, la donna che torreggiava su di lui con un'espressione violenta e rapace, che gli fece sentire ancora più nettamente la sconfitta. Tentò, attingendo alla forza della disperazione ed all'orgoglio, di rialzarsi, barcollando, ma prima che riuscisse a rizzarsi sulle gambe cadde nuovamente a terra. "...Nove...Dieci!" la donna finì il suo conteggio, ed alzò soddisfatta le braccia al cielo in segno di vittoria. Lei gli tese la mano, e lo aiutò a rialzarsi. Luca ringraziò, ma quel gesto di solidarietà lo fece sentire ancora più umiliato. Non voleva l'elemosina della compassione, non voleva mendicare aiuto o frasi di circostanza. Si sfilò rapidamente i guantoni, si levò paradenti e maschera, mentre la donna svolgeva le stesse operazioni con più tranquillità, con la calma olimpica di chi è soddisfatto. Lei si volse verso di lui, con un'espressione strana, forse sensuale, passandosi la lingua sulle labbra: "Senti..." Luca non seppe mai cosa doveva sentire, perché risuonò il campanello, insistentemente. "Dev'essere per me." fece la donna. "Vado a cambiarmi, aprigli tu." Lui preferì non aprire, malgrado il suono insistente. Era troppo depresso, troppo malconcio per farsi vedere, chiunque fosse alla porta. Lei si cambiò con la velocità delle modelle e, borsa in mano, aprì la porta. "Sai che ci aspettano. Abbiamo la conferenza stampa." Nella penombra, Luca individuò un uomo di mezz'età ma giovanile, alto quasi come Kate e piuttosto grosso. "Sai, ho fatto 8 riprese di boxe con quel ragazzo." L'uomo guardò verso di lui poi, rivolto alla modella: "Non ti chiedo neppure chi ha vinto. L'hai proprio conciato." "Sono una vincente" replicò Kate abbracciandolo. "Credo che un giorno dovrò darti una lezione io" la provocò il suo compagno. "Tra una donna di venticinque anni ed un uomo di cinquanta non v'è sfida... lo sai bene." Lui non replicò, ma la baciò a lungo sulla bocca, eccitato, mentre lei con la mano gli strofinava il membro che si ingrossava sotto i pantaloni. Si sciolsero ed uscirono. L'indomani, al risveglio, Luca si chiese se aveva sognato o vissuto un'esperienza reale. Il quesito ebbe una risposta quando vide nello specchio il suo volto.